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Bitter is Better

  • Immagine del redattore: Manuela Navacci
    Manuela Navacci
  • 13 lug 2023
  • Tempo di lettura: 6 min


Avete notato come la voglia di "Qualcosa di dolce" in certi periodi non se ne voglia andare, nonostante le buone intenzioni dichiarate davanti all'ultima fetta di torta, e apra la porta ad altri disordini a tavola? Il motivo? Perchè la voglia di dolce non si spegne con il dolce. Ne parlo di seguito, in un articolo apparso su L'Altra Medicina .


Bitter is better

Nel decidere di seguire una alimentazione sana, uno degli scogli piu ostici è la rinuncia ai cibi dolci, che nelle diete “classiche” spesso porta ad abbandonare il piano alimentare in breve tempo. Comprendere i motivi delle nostre preferenze alimentari è la chiave per recuperare un sereno rapporto con il cibo. Anche dolce.

“Ambrogio, non è fame, è piu voglia di qualcosa di dolce” recitava una vecchia, famosissima pubblicità. E Ambrogio prontamente faceva apparire un vassoio pieno di scintillanti cioccolatini.

Il dubbio amletico che ha consumakikto intere generazioni è se poi la voglia di dolce alla signora sarà passata. La risposta è molto probabilmente NO, perché il dolce accende la voglia di dolce non la spegne; anche alle signore della TV.

Facezie a parte, l’effetto dello stimolo dolce sull’appetito è un tema cardine che molte volte è stato trattato in queste pagine, che ha risvolti sociali, salutistici, economici.

La dieta Occidentale degli ultimi decenni è caratterizzata da cibi definiti HFSS, Hight Fat, Sugar and Salt. Si tratta di cibi molto manipolati dall’industria alimentare per risultare particolarmente appetibili, annullando in molti casi il sapore naturale del cibo stesso.

Non solo i cibi confezionati sono profondamente modificati, ma anche materie prime come frutta e verdura, sono selezionate per eliminare la componente amara, è sempre più difficile trovare uno yogurt che mantenga la sua naturale acidità, coperta appositamente da grassi e zuccheri. La ricerca del sapore dolce e grasso è un istinto innato, perché nel cibo (quello vero!) questo è sinonimo di freschezza e nutrimento al contrario è istintivo nelle prime fasi della vita rifiutare il sapore acido e amaro sinonimo di cibi potenzialmente poco nutrienti, avariati o tossici.

E la struttura dei nostri recettori segue questa logica. Il gusto dolce è mediato da un recettore con struttura simile a quella dell’Umami, entrambi stimolati fin dalla prima poppata dallo zucchero e dalle proteine del latte, generando un innata preferenza (e dipendenza) per queste sensazioni. La ricerca di cibi ricchi, dolci è caldi, è una innata costante nella vita di molti, che genera sensazioni di tranquillità, accoglienza e calma. L’Umami (ossia Gradevole al palato) quinto e per ora ultimo gusto scoperto, è alla base della attrazione di alcuni nei confronti del sapore ricco e intenso del parmigiano, o della corposità del sapore della salsa di soia.

Il gusto acido e quello salato hanno invece recettori a canali ionici che rispondono in modo selettivo alla presenza di acidi, individuando quelli benefici da quelli nocivi. Discorso differente per il piccante, che in realtà attiva neuroni deputati alle sensazioni del dolore-bruciore.

Per l’amaro la situazione è molto più complessa: 25 recettori che agiscono in modo sinergico per poter rilevare, individuare, riconoscere e selezionare, tutti i sapori amari presenti in natura, e distinguere tra sostanze utili e potenzialmente tossiche. Questa altissima specializzazione della nostra capacità è segno evidente che la ricerca selettiva dell’amaro nel cibo è fondamentale per la sopravvivenza, ed eliminarlo dalla tavola è dannoso. Quindi nell’età adulta, con l’esperienza sensoriale si forma una conoscenza che servirà da “mappa” per individuare i cibi benefici da quelli dannosi: si imparerà quindi che solo il 20% dei composti amari presenti in natura è pericoloso, la restante parte è innocua o benefica. L’esperienza post-ingestiva sarà determinante nella scelta.

Nel bambino questo rifiuto per i gusti si discostano dai due appresi nei primi pasti prende il nome di Neofobia, ed è un meccanismo volto a difenderlo da eventuali pericoli. Chi ha figli sa che per fa accettare un cibo ad un bimbo deve proporlo diverse volte, prima che venga poi accettato e gradito e non finisca più sul pavimento. Mangiando si impara!

Ma se al bimbo si proporranno fin dai primi pasti, pappine dolcificate invece della frutta vera, succhi di frutta, cibi modificati, l’accettazione degli altri sapori non avverrà mai. E senza l’esperienza, il rifiuto sarà definitivo, privando l’organismo di una normale modulazione dell’appetito e di sostanze preziose. Anche se da adulto si forzerà magari per ragioni di salute, il flavour-consequence learning, l’apprendimento, la confidenza con i gusti sarà alterata per sempre. Se è naturale per un lattante bramare cibo dolce e altamente calorico, per un adulto che vive in una società obesogenica, può essere un grande pericolo.

Nel sapore piccante, nell’amaro e nell’acido dei cibi, sono nascoste sostanze fondamentali per la nostra sopravvivenza; polifenoli, terpeni e glucosinolati sono composti perlopiù amari di cui sono ben note le proprietà benefiche, e che un palato allenato riesce facilmente ad individuare e apprezzare nel cibo: nell’olio novello il piccante è dovuto ai polifenoli hanno proprietà antiossidanti, antitumorali e proteggono da malattie cardiovascolari, così come tutte le erbe amare (cicoria, radicchio, carciofo, rucola, solo per citarne alcune) sono riserve preziose di antiossidanti, prebiotici e sostanze benefiche. L’appiattimento del gusto, fino dalla tenera età, impedisce che i sapori più variegati entrino nel nostro ventaglio di esperienze sensoriali, indirizzandoci verso una alimentazione pericolosamente monotona.

Uno studio su 150 universitari, ha rivelato che la maggior parte di loro non aveva mai assaggiato verdure tipiche della loro zona di appartenenza, verdure che pur avevano rappresentato per i loro nonni, la base della alimentazione.

Ridurre così nettamente la diversità e la qualità degli alimenti che si consumano significa ridurre la qualità della salute e della vita di intere generazioni. Mi capita continuamente di parlare con pazienti coscienti di quanto sia il cibo la causa dei loro problemi, consapevoli della quotidiana dose di veleno che mettono nel loro piatto, ma assolutamente incapaci di rinunciarvi, completamente inermi e soggiogati da un cibo artefatto. Un cibo che piuttosto che nutrire il loro corpo, sta avvelenando, prima le loro menti, poi i loro corpi.

Un’esagerazione?

E come lo definireste qualcosa che vi fa sentire cronicamente stanchi, storditi, incapaci di gestire le vostre vite in modo efficiente, vi toglie volontà e vi rende dipendenti dai farmaci?

Un veleno. Appunto.

Questi cibi sono studiati non solo per essere economici, attrattivi e di lunga durata, ma anche per stimolarne il consumo (siamo o non siamo consumatori!), il gusto ricco di grasso e zucchero porterà la nostra glicemia e il nostro umore su un otto volante, per cui il cioccolatino citato all’inizio non sarà che il primo di una lunga serie, senza però portare mai sazietà e soddisfazione, o la patatina che, complice anche il simpatico crock, non ci darà pace finché non le avremo mangiate tutte.

Sapete che l’attrazione per il cibo “che scrocchia” deriva dalla nostra atavica ricerca di cibo maturo e croccante, più nutriente e salubre di quello appassito? Anche in questo, una nostra capacità evolutiva è sfruttata per renderci consumatori fedeli.

La continua ricerca di “qualcosa di dolce” è in realtà la richiesta del corpo di stabilità di nutrimento, di ‘altro’ rispetto a quella pochezza che gli abbiamo fornito sino a quel momento; il nostro ipotalamo registra carenze vitaminiche, proteiche, e ci stimola a cercare del cibo più ricco di quelle sostanze, ma noi siamo così anestetizzati e così lontani dalle nostre necessità e dai sapori veri che continuiamo cercare sempre la solita litania dolce salata grassa. Impossibile uscirne. O forse no.

Moltissime evidenze, sperimentali e osservazionali, ci mostrano come il sapore amaro sia in grado di bloccare il bisogno di dolci, riducendo la sintesi dell’insulina e aumentando il benessere generale.

Anche in questa scoperta l’industria ci ha messo lo zampino, creando degli integratori di erbe amare in comode gocce che i più pigri potranno utilizzare in caso di emergenza (in caso di voglia di torta, rompere il vetro!!).

Trovo però sia piu gradevole, educativo ed economico(!) riscoprire l’infinita varietà di sapori della nostra cucina, compresa quella etnica, la sinfonia di sapori del cibo vero, ci possa piacevolmente rieducate ad una scelta consapevole di quello che mettiamo nei nostri piatti.

Fate voi stessi questo esperimento. Dopo una giornata stressante, al ritorno a casa, quando facilmente si insinua quella “voglia di qualcosa di dolce” a causa delle fluttuazioni glicemiche dovute a stress e cattivo bilanciamento dei pasti, a quel punto invece di assecondare quella sensazione (e chiamare Ambrogio) provate ad mangiare qualcosa dal gusto amaro, come della cioccolata ultra fondente, magari 90% , e fatelo con calma, assaporandola, percependone le caratteristiche a livello della lingua e del naso, create un momento piacevole, non distratto, il gusto ne sarà centuplicato: mangiare senza attenzione, significa aver fame ancora e ancora e ancora.

Oppure cenate con verdure amare e proteine, magari della cicoria gustosamente ripassata con olio e peperoncino, e della carne, o anche una frittata di asparagi e del radicchio alla piastra ben condito; provate a percepire come quello che prima era un bisogno incontrollabile, diventa una piacevole sensazione di appagamento e lucidità, capacità di gestione delle proprie sensazioni: i nutrienti del pasto avranno dato segnali di pienezza al vostro cervello, i sapori ricchi, di appagamento; tutti stimoli che spegneranno il segnale di allarme che vi spingeva verso il dolce.

Il dolce non è il nemico, possiamo serenamente consumare alimenti dolci naturali o fare dei dolci con le nostre mani. Il nemico è la perdita di lucidità, di autonomia, di controllo sulle proprie vite.

E tutto questo Ambrogio non lo sa. Ma noi sì.

 
 
 

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