Se la fame è una Colpa.
- Manuela Navacci
- 19 mar
- Tempo di lettura: 8 min

“E non faccia il pasto del condannato, perché io non la metterò a dieta! Io non metto a dieta nessuno!”
Questa frase che spesso dico a chi prende appuntamento con me, può risultare atipica per un nutrizionista, ma mi piace mettere in chiaro le cose.
In questo articolo parleremo di cibo ed emozioni, terreno scivoloso, che si pone tra chi pensa che la dieta sia quella tabella grammata che va dal lunedi al sabato (e domenica pasto libero!) e invece chi pensa che le alterazioni dei comportamenti alimentari siano fattori di puro appannaggio psicologico.
La verità è che soprattutto negli ultimi decenni si è creata una infinita sfumatura di problematiche dovute anche alla qualità del cibo, ma non solo.
Il discorso è molto complesso, come è complessa la nostra psiche nel rapporto con un elemento così fondamentale come è il cibo, e la percezione del nostro corpo rispetto al mondo esterno.
Parlerò quindi in questo articolo di quello che compete a me come nutrizionista che crede che se si pensa al cibo solo come calorie da calcolare, si guarda il dito e non la Luna.
Potrei raccontarvi di come una dieta a base di cibi ultraprocessati riesca a modificare in breve tempo il microbiota intestinale, riducendo di fatto la produzione di Serotonina, neurotrasmettitore responsabile del buonumore e del GABA, fondamentale nella regolazione dell’ansia. La mancanza di serotonina determina infatti depressione, disturbi ossessivo-compulsivi, ansia, emicrania, fame nervosa e bulimia, disfunzioni della sfera sessuale.
O di come lo zucchero, in combinazione con la giusta dose di grassi e sale, possa modificare il comportamento attraverso il raggiungimento del Bliss Point, uno stato di beatitudine dovuto al rilascio di dopamina, comportamento che spesso può diventare compulsivo.
Ma io vi voglio raccontare di quello che vedo io quotidianamente nelle pazienti: disagio, instabilità emotiva, perdita di controllo. E per controllo non intendo quello che ti impone di non mangiare piu 30 grammi di pane, ma quello che ti fa decidere di smettere quando sei sazio.
La perdita di controllo che fa si che sia il cibo a dominare le nostre emozioni.
Vi voglio raccontare di quelle alterazioni del comportamento alimentare che ben poco hanno a che fare con traumi psicologici pregressi, ma sono indotti da una società obesogenica che da una parte ci impone standard di bellezza impossibili, dall’altra ci immerge in un osceno tripudio di zuccheri e snack onnipresenti.
Questo strano conflitto l’ho trovato palese nella classica struttura degli imperanti centri commerciali, luoghi diventati ormai luoghi di svago e ritrovo: al primo piano i negozi di abbigliamento, con manichini abbigliati con vestitini striminziti taglia 38 con foggia sbarazzina dove il passare degli anni e dei centimetri non è contemplata. Al piano superiore ristoranti e fast food dove il carboidrato è onnipresente, e trovare qualcosa di sano da mangiare è tecnicamente impossibile.
Quindi, pensavo, se si vuole entrare in un negozio al primo piano bisogna evitare di salire al secondo, e viceversa. Quante donne quindi si trovano a metà fra i due piani, sempre in conflitto con se stesse e un mondo che le critica se sono fuori forma ma le critica anche se “eh ma tu non mangi mai!”
E questo è un problema prevalentemente femminile, in questo la parità di genere non esiste. Sia perché gli uomini ingrassano meno facilmente, sia perché come fattore culturale qualche l’uomo con qualche chilo in piu è socialmente piu accettato di una donna. E poi perché noi donne siamo votate all’autocritica. Su tutti e tre i punti, possiamo lavorarci anche lavorando fin dall’infanzia sull’autostima delle giovani donne.
E quindi come resistere all’ennesimo apericena, o alla pizza del sabato, quando l’offerta alimentare è improntata sui carboidrati raffinati e sugli zuccheri? Poco importa che la maggior parte dei commensali il giorno dopo si sveglierà con gli occhi gonfi e l’energia di un bradipo, nella nostra epoca si fa cosi, stare insieme passa sotto l’arco del picco glicemico.
Perché mangiare carboidrati è gradevole, (ed economico), è rassicurante. Perché ci siamo evoluti nella ricerca delle calorie con poco sforzo, e la società moderna ce ne fornisce a palate sapendo appunto che resistere sarà difficile.
Veloce veloce, la soddisfazione del bisogno di zuccheri e calorie deve essere fast, perché è urgente il bisogno di dopamina, di benessere , e fast perché se solo ci rifletto un attimo non lo faccio più perché mi sale il senso di colpa.
Ma è molto piu fast il food del senso di colpa, perché il food è ovunque, abbondante, economico, dopaminergico. Irresistibile.
“Una torta in meno di 2 minuti!” propone una famosa marca di dolci. Metti la confezione al microonde ed è fatta. Dal desiderio di dolci ad aver ingerito 50 g di zuccheri e svariati grassi trans, saranno passati 4 minuti (tempo di farla freddare).
E da quei quattro minuti al prossimo attacco di “voglia di qualcosa di buono”, se il picco glicemico non è un’opinione, passerà un’altra oretta. Oretta intervallata da molti “non dovrei” e moltissimi “si ma tanto ormai” farciti da senso di colpa e disagio.
Ma come è successo questo corto circuito? Siamo in un’epoca pieno di cibo, con una tradizione gastronomica delle migliori al modo, possibile che mangiare si diventato cosi complicato?
Una buona fetta della colpa è da attribuire a decenni di dietetica basata sulle calorie, sulla restrizione, su diete impossibili da mantenere nel tempo, alla scoperta che la dieta di mantenimento altro non era che la dieta di prima, ma con la pizza una volta a settimana. Il pasto LIBERO. Come se gli altri fossero agli arresti.
Parole appunto come pasto libero, sgarro, restrizione, usate in riferimento ad un atto sereno come il mangiare, scavano delle trincee tra un mangiare consapevole e uno artificioso. Ed è la dietetica ad averle introdotte.
“Dottoressa mi concede del cioccolato? “
“Non sono il Papa, io non concedo. Io spiego quando le conviene mangiarlo”
Come l’abitudine di colpevolizzare il paziente per la mancata adesione alla dieta, magari facendogli notare le sue mancanze, il peso in eccesso da perdere, con lo scopo di indurre una migliore compliance ha prodotto l’effetto contrario. Chissà se chi ha inventato queste diete ha mai seguito, queste diete.
Ripetersi sono grassa, devo perdere peso, sono debole, il cibo è un rifugio, non fa altro che convincere il nostro cervello che le cose stanno davvero cosi.
Anni di diete e di sgarri (ma sentite quanto è sgradevole anche solo la parola??) hanno generato un latente disturbo del comportamento alimentare, in moltissime persone che con approcci diversi non ne sarebbero state vittime.
Privarsi forzatamente del cibo, non è un atto naturale, soprattutto se intorno a te il cibo abbonda, ed è sempre piu appetitoso. Tutti mangiano, e tu no (eh vuoi rimanere al piano dei vestiti 38), segui il piano fai la brava, ma appena ti concedi un boccone in più, ecco che tutto si vanifica. Fallimento.
Si scava una correlazione tra dieta e fallimento, privazione, fatica fallimento, che il cervello registra, e ogni volta che proverai a metterti a dieta il tuo cervello ti dirà “Ma che lo fai a fare? Fame, fatica e poi tutto vano. Lascia stare, sono un uomo primitivo, ho superato ere glaciali, non sono fatto per questi giochetti”
E questo inconscio pensiero genera una giornata tipo della cronic dieters (la donna cronicamente a dieta): colazione da dieta (faccio la brava), pranzo da dieta (faccio la brava), ritorno a casa… sono stanca affamata mangio un biscotto… magari due… beh Tanto ormai ho sgarrato, tutto il pacco!
Il meccanismo del Tanto Ormai!, è un ricorrente autosabotaggio che si mette in atto quando intimamente si ha le scatole piene della dieta, ma ci si sente socialmente obbligati ad essere magri (essere gradevoli è un diritto non un dovere ricordiamocelo), e si cerca il modo di sabotare la dieta per potersi finalmente permettere di mangiare.
Il ‘Tanto ormai’ è generato dal concetto di sgarro, giorno libero, dalla dicotomia del fare la brava e perdere il controllo, del concedersi o trattenersi.
Tutte parole che insegnano un dualismo al nostro cervello, incomprensibile per chi non viva questa condizione, delle sabie mobili per chi non sia entrato in questo meccanismo.
Per uscire da queste invisibili sabbie mobili, bisogna prima vederle. O meglio farle vedere al paziente. Insegnare che non è tutta colpa sua, che certi comportamenti sono indotti dalla chimica degli alimenti, dagli sbalzi della glicemia, dalla malnutrizione indotta dai cibi commerciali.
Provate voi a resistere all’ennesimo apericena con pizza che vi propongono gli amici, se siete a pancia vuota e glicemia sotto i piedi, a causa di una dietina da 1000 calorie (eh senza deficit calorico non si dimagrisce mica) e con millemila diete fallite alle spalle.
Provateci invece se vi sentite forti come rocce per una alimentazione solida, bilanciata, nutriente, se la fame è un ricordo lontano, avete la mente sgombra e lucida e siete super motivate, e se le nuove regole alimentari vi sono state spiegate e motivate perché le facciate vostre, perché diventino vostra forza e serenità. Non solo sarà facile rinunciare all’apericenaconpizza, ma saprete anche come trascinare la compagnia a mangiare qualcosa di buono, stavolta che non lasci tutti quanti gonfi e stanchi, domattina.
E anche fosse, l’aperipizza ogni tanto sarà una libera scelta, non una perdita di controllo.
Talvolta però il percorso è piu complesso. Ogni persona ha la propria sensibilità, la propria storia. Talvolta i famosi sgarri, sono vissuti molto piu che come un fallimento, sono vissuti con vergogna.
Sono nascosti ai familiari per paura del giudizio.
Sono tutt’altro che momenti di piacere, sono autopunizioni. La persona non sente il sapore del cibo, questo diventa solo un riempitivo di un vuoto che non è capace di individuare.
Sapere di essere accolti da chi ti sta aiutando a gestire l’alimentazione, e non giudicati, può essere determinante.
Sara è una bella donna, e vuole dimagrire.
Sara è gentile, riempie la stanza con il suo sorriso e il garbo dei modi. Ma vuole dimagrire.
Sara probabilmente non si accorge di come appare, perché vuole dimagrire.
Iniziamo a parlare, e mi racconta delle tante diete, e si concentra sul problema: le sue gambe.
Troppo grosse, da sempre il suo tallone d’Achille. Un problema. Il problema.
Donna di successo, figli famiglia, buon lavoro, questo non essere ‘al meglio’ la mette a disagio.
Deve fare una dieta, ma le fallisce sempre.
Parliamo a lungo delle sue diete, del rapporto con il cibo, e scopriamo insieme, perché non ne aveva consapevolezza, di soffrire di craving, di attacchi di fame che nasconde alla famiglia, alle amiche, ha sempre nascosto a chiunque anche a se stessa, perché la fragilità è un lusso che non tutti si permettono.
Ma qui ce lo possiamo permettere, e le lacrime liberatorie sono quelle di tutte le donne a cui è stato concesso di lasciare a terra lo zaino della colpa e dell’inadeguatezza. Qui si può.
E si capisce che il percorso per l’equilibrio non sarà facilissimo, le cicatrici rimangono, i comportamenti appresi anche, bisogna solo farci pace. Imparare a capirli, anche ad amarli in quanto parte della nostra storia, e a renderli sempre piu inoffensivi. Quasi una spia di un momento di stress. Quasi amici.
E nel tempo siamo passate attraverso diversi approcci alimentari, che la aiutassero a far pace con le diete, ma anche a trovare l’immagine nello specchio che sta cercando, in equilibrio tra gli aperipizza e il cibo più adatto a lei.
Qualche volta va in crisi, torna a limare le porzioni, in ricordo delle vecchie diete.
Scattano i craving, puntuali come un orologio. Una ferita dell’anima che ne genera un’altra.
“Non so cosa succede, sto perdendo il controllo”
“Ma se invece fosse solo fame? Vera, naturale, sana fame?”
…
“Hai ragione, era FAME!”
Se elimineremo la colpa dal nostro percorso alimentare, avremo fatti un gran passo avanti.
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