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Chi ha il controllo?

  • Immagine del redattore: Manuela Navacci
    Manuela Navacci
  • 31 lug 2024
  • Tempo di lettura: 9 min

La relazione con il cibo è la prima che instauriamo, e inizia con il  primo sorso di latte materno nel quale troviamo amore accoglienza e  sopravvivenza. Ma per alcuni diventa nel tempo fonte di stress e forte disagio.

 

In una relazione è bene stabilire sempre chi abbia il controllo su chi.

All’interno di una relazione di qualsiasi tipo, tra fidanzati, genitori figli, il sottile gioco per stabilire chi detenga il bastone del comando si tiene all’inizio del cammino, e ne determinerà l’andamento: difficile riequilibrare le parti soprattutto quando una delle due ha il sopravvento sull’altra.

La stessa relazione la possiamo avere con il cibo, una relazione  di amore ma anche di timore, di odio, di dipendenza, ed è bene analizzarla a fondo quando si decide di intraprendere un nuovo percorso nutrizionale.

Ma davvero dobbiamo scavare cosi a fondo per mangiare e stare meglio? Non è solo questione di ‘Mangiare un po’ di tutto senza esagerare?’. Per alcuni lo è, ma per molti la relazione si è incrinata presto, complice anche, o meglio, artefice principale, la cattiva cultura alimentare delle diete restrittive degli ultimi decenni, e una società obesogenica: una dicotomia netta che ti chiede da un lato di essere magro e gradevole ma poi ti bombarda con cibi veloci, altamente calorici, del tutto innaturali.

Ed è  esattamente su questa differenza che mi vorrei soffermare, cioè su come per alcune persone mangiare non sia un atto d’amore per se stessi ma un atto di forza, di potere.

E il potere il più delle volte è dalla parte sbagliata, da quella del cibo.

Il cibo è componente imprescindibile della nostra vita, siamo programmati per cercarlo, difenderlo, e secondo alcune teorie, la nostra genetica è frutto della selezione evolutiva di quegli individui maggiormente predisposti ad accumulare scorte energetiche nei periodi di carestia.

Ci siamo quindi evoluti in un mondo completamente diverso da questo, nel quale lo stesso “gene risparmiatore” che secondo alcune teorie ci ha salvato dall’estinzione, oggi è causa della pandemia di obesità ed insulino resistenza. Ma gli istinti e la biologia che ci governavano allora, ci governano anche oggi, solo che non ce ne rendiamo conto, non gli diamo ascolto, anzi vogliamo governarli e imbrogliarli: ma milioni di anni di evoluzione non si imbrogliano.

L’istinto quindi, cosi come le caratteristiche genetiche, ci portano verso la ricerca continua del cibo, se questo manca, il pensiero principale rimane la caccia. Che sia la caccia di una antilope nella calda radura africana o di un pacco di biscotti nella affollata corsia di un supermercato, la chimica che ci guida è sempre la stessa, ed è perentoria: mangiare per sopravvivere!

Sopravvivere ad una lunga battuta di caccia sfiancante, o ad una pesante giornata in ufficio, le forze messe in campo sono le stesse, anche se con risultati differenti. In un caso dopo un imponente sforzo fisico avremo una meritata ricompensa, piuttosto complessa da digerire e assorbire, nell’altro caso dopo un lavoro fisico inesistente, ma infinito stress emotivo, avremo un proiettile energetico pronto ad esplodere nel nostro sangue e poi nel nostro cervello, al quale il nostro corpo non è in grado di rispondere in modo fisiologico, e lo farà in modo disfunzionale.

Ed  è questo uno dei meccanismi che mette lo scettro del potere nelle ‘mani’ sbagliate, ossia in quelle del cibo industriale.

Come mi capita spesso di dire, l’industria alimentare non è il male. Se abbiamo potuto avere cibo in quantità, qualità e varietà mai vista prima è anche grazie ai metodi di conservazione che si sono evoluti, al confezionamento, alla rete di distribuzione che questo mercato ha creato. Se mettere qualcosa nel piatto è diventato relativamente facile per chiunque, lo dobbiamo anche all’abbassamento dei costi di produzione (e in gran parte della qualità) del cibo, che gli investimenti dell’industria alimentare ha fatto negli ultimi decenni. L’industria alimentare quindi non è il male ma non è neppure un ente benefico, quindi il suo scopo non è soltanto quello di produrre a costi più contenuti possibili, ma anche di vendere più possibile, di rendere il proprio prodotto incredibilmente appetibile, facendovelo amare alla follia. E lo sappiamo, in amore e in guerra tutto è lecito.

E per questa guerra nel conquistarsi il vostro amore, scavalcando tutti i concorrenti, sfodera uno stuolo di esperti assaggiatori che individuino il gusto che vi farà impazzire (letteralmente).

Immaginatevi dei signori in camice bianco dentro piccole stanzette, intenti ad assaggiare 10 versioni della vostra crema spalmabile preferita, e a riempire dei moduli in cui segnano le sensazioni che le varie versioni gli provocano. Vincerà quella che avrà una miscela di sapori e odori che evocherà una sensazione più intensa di tutte, quella in grado di stuzzicare i vostri centri del piacere e della ricompensa, quel tanto per stimolare il Bliss Point, il punto di beatitudine massimo, e farvi registrare questa sensazione, come esperienza positiva e spingervi poi a ripeterla ancora e ancora. Questo è il motivo per il quale se l’antilope di cui sopra (o una piu moderna e digeribile bistecca con contorno) una volta mangiata vi lascia sazi e soddisfatti per lungo tempo, il biscotto ne tira un altro e un altro ancora, finché non si vede il fondo del pacchetto. Ma che sarà mai, direte voi, il cibo è cibo, l’importante è sfamarsi.

Tralasciamo del tutto quanto siano o meno nutrienti i suddetti biscotti, e concentriamoci sui meccanismi schizofrenici che questo tipi di alimentazione scatena.

Seguitemi.

La nostra società è carboidratocentrica, sia per una questione di economicità di questo alimento, abbastanza facile da produrre, versatile (pensate a quante cose che ci circondano sono costituite da farina e zucchero), estremamente facile da conservare, e da sempre grande pulsante antistress. Chi non si è accorto della relazione carboidrato/rilassamento? Chi non ha sperimentato il bisogno di mettere sotto i denti unbiscottounpezzodipannedipizza, al ritorno da una giornata faticosa e stressante?

Durante i momenti di tensione le fluttuazioni glicemiche del nostro corpo ci spingono a nutrirci di carboidrati, carboidrati cosi concentrati e raffinati da provocarci altri fluttuazioni glicemiche, che ci spingeranno alla ricerca di altri carboidrati….un supplizio di Sisifo in piena regola, alla ricerca di una sazietà e stabilità umorale che non arriverà mai.

Il carboidrato quindi è diventato quella polvere magica che rende tutto appetibile e la fonte di quella sensazione intensa  che ci trasforma da consumatori consapevoli, a dipendenti del cibo.

Il delicato equilibrio fame/sazietà, introito/spesa energetica è finemente regolato da un dialogo ormonale e nervoso che informa i nostri centri ipotalamici sullo stato energetico del corpo, permettendoci di mangiare a sazietà e provvedere al mantenimento dell’intero apparato, addirittura intercettando i bisogni financo delle più piccole macromolecole (oggi ho voglia di una spremuta d’arancia….sarà il  mio ipotalamo che mi comunica che sono scarso di vitamina C!): in questo splendido evoluto meccanismo che ci ha permesso di sopravvivere per  milioni di anni senza tabelle nutrizionali, App conta calorie e formaggi light, da qualche decennio si è inserito il cibo industriale che scavalcando questi meccanismi arriva dritto al nostro nucleo delle dipendenze e ci impone: mangia!

Zucchero, sale e grasso, in miscele abilmente composte impongono in tono perentorio questo messaggio, alcuni lo recepiscono meno, altri ne diventano dipendenti, e a volte lo sentono martellare dalla cucina, dentro la dispensa, anche se sono intenti a leggere un libro sul divano “Mangiami mangiami!!” e non avranno pace finché non lo faranno zittire, nella loro pancia. Avete intuito dove si è spostato lo scettro del comando?

Ma le cose possono peggiorare.

Questo tipo di cibo è ovunque, in quanto comodo ed economico da produrre e di grande soddisfazione da consumare. Peccato che, come nell’esempio ad inizio articolo, vada spesso ben oltre i nostri fabbisogni energetici, ed è quindi definito  obesogenico. L’epidemia di obesità è la vera grande innegabile  ma mai tanto negata, pandemia del nostro secolo. Quando vi capita di vedere i grandi obesi, noterete che il grasso in alcuni casi si trova in sedi atipiche dette “ectopiche”, in quanto cosa e quanto mangiamo è talmente lontano dalla nostra biochimica che il corpo va in tilt e inizia ad accumulare anche oltre le proprie possibilità: non abbiamo difese per il troppo; siamo programmati per gestire il troppo poco, ma il troppo ancora non è previsto ed è ingestibile.

L’obesità, seppur abilmente fomentata, perché rende in termini economici, è ancora motivo di scherno e di vergogna per chi la vive. La stessa società che ci fa pagare molto meno un pasto pronto surgelato piuttosto che un chilo di zucchine, ci dice che oltre la 42 una donna smette di essere desiderabile; la stessa società che azzera i centri di aggregazione dei ragazzi e li rinchiude in una stanza davanti al pc, dice che avere gambe toniche è un dovere civile. Questa crudele contraddizione genera in molti individui profondi conflitti, e quando un conflitto coinvolge sfere cosi profonde e radicate come il cibo, il bisogno di essere accettati e l’autostima, l’effetto è detonante. Così alcune persone passano la loro intera vita in una devastante altalena tra restrizione calorica, durante la quale si sentiranno a posto con la propria coscienza e sentiranno di avere un controllo (fittizio) sulla propria vita ma saranno affamate e stanche, a periodi di compulsione alimentare durante i quali saranno finalmente sazie ma avranno abdicato al potere del cibo spazzatura, e al senso di colpa.

In entrambi i casi il potere non sarà mai il loro, non saranno mai davvero soddisfatte, e si strutturerà una distorta visione del cibo come un oggetto del desiderio malevolo che influenzerà di fatto tutta la loro vita. 

Frasi come “Oggi ho fatto la brava” “Mi perdoni ho sgarrato” “Mi vergogno tanto” “Questo cibo mi è concesso?” che sento spesso dire dai miei pazienti, hanno in sé il germe del dolore e della perdita di potere sulla propria vita.  

Non è raro che certi dialoghi siano colmi di dolore e poi, finalmente di sollievo.

Chi non viva questa perdita di controllo potrebbe ritenere eccessiva questo quadro, ma provate a chiedere a una persona in sovrappeso perché non si decida a perdere peso.

Perché non ci riesco

Non ci riesce, spesso, perché non ha piu il controllo, perché di fatto è chimicamente controllato dal cibo.

Spesso ci prova, ma il cibo che gli viene offerto è così dominante da scardinare tutte le sue regolazioni interne; allora ricorre a un altro astuto rimedio dell’industria, i cibi light,  gli integratori, le bevande, i kit dimagranti, che affamandolo, non fanno che esasperare il suo bisogno di stabilità e appagamento, riportandolo nelle braccia del cibo spazzatura, il comfort food. Perché un cibo spazzatura sia di conforto la dice lunga su quanto questo cibo sia in grado di neutralizzare le nostre difese. Restrizioni chiamano compulsioni alimentari, come ampiamente dimostrato dal Minnesota Study 1 , anche in individui non predisposti.

La prego mi faccia dimagrire in fretta o farò una delle mie follie, digiuno, purghe, di tutto” mi ha detto una volta una paziente

“A cosa la hanno portata le sue follie?”

“A niente, ma lo faccio lo stesso non so fare altro”

Il tentativo di avere il controllo su un meccanismo di sopravvivenza, attraverso la privazione il digiuno, la negazione del piacere del cibo non può che fallire a causa di un sano istinto di sopravvivenza, che in una società distorta come la nostra, viene vissuto come debolezza.

Dottoressa a me piace mangiare!!”  E grazie a Dio, andremo d’accordo!

E’ nell’imparare a mangiare che si trova la strada per uscire da questo ginepraio.

Il meccanismo perverso si instaura in modo radicale e ci troviamo in un labirinto che ci siamo costruiti da soli (con grande aiuto esterno) dal quale non sappiamo uscire, anche se la porta è lì davanti a noi e si chiama cibo. Cibo vero quello che non ha una confezione con dentro un’altra confezione con dentro tante comode porzione, ma che ha una buccia, un guscio, cibo che ha uno, massimo due ingredienti e che se lo dimenticate in frigo diventa preda di ingordi batteri, e non rimane immutabile nel tempo come la mummia di Tutankhamon. Cibo che ha un odore, un sapore che è suo e che ne definisce le caratteristiche nutritive, non della boccetta di aroma che ci hanno messo.

La buona, buonissima notizia è che eliminando tutto il cibo che ci controlla, rimane un mondo di cibo vero sano, che possiamo far entrare serenamente nella nostra vita, senza doverci difendere. Anni di divieti campati in aria che demonizzavano prima i carboidrati poi i grassi, poi le proteine, diete stravaganti sempre piu restrittive e fantasiose, hanno ormai mostrato la loro fragilità nel regalarci una società sempre più obesa, malata, spenta. Calcoli complicati, prodotti artefatti, non hanno minimamente aiutato le persone a stare meglio.

Per capire se un cibo fa per noi o meno, valutiamo la sensazione che ci lascia: se è lui ad avere il controllo, lasciamolo sugli scaffali, perché non è cibo, ma un prodotto, e noi siamo persone, non consumatori.

 

 

1 Lo studio, effettuato per un anno presso l’Università del Minnesota nel 1944 fu ideato per valutare gli effetti fisiologici e psicologici di una severa e prolungata restrizione calorica e l’efficacia della riabilitazione nutrizionale. Lo scopo principale dello studio fu di capire come assistere nel modo migliore le vittime della carestia in Europa e in Asia, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, usando i dati deriva



ti da una simulazione della carestia in laboratorio. I partecipanti furono tenuti sotto osservazione per 48 settimane nelle quali si applico loro una restrizione calorica sempre maggiore, osservandone lo stato di salute e il comportamento sociale. Dopo l’esperimento, nel quale molti ebbero impulsi aggressivi verso sé stessi e gli altri, si notò la comparsa di compulsioni alimentari in individui che non ne avevano mai sofferto. Molti ripresero il peso iniziale, altri ingrassarono notevolmente a causa dell’alterato rapporto con il cibo che si era sviluppato in quelle settimane.

 

 

 

 
 
 

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