"Ci sono caduta anch'io" (nella sua trappola)
- Manuela Navacci
- 19 giu 2024
- Tempo di lettura: 9 min
Essere un professionista della nutrizione non significa che ogni tanto non ci si possa far tentare
anche da cibi meno sani, in modo consapevole e magari con qualche riflessione a margine.
Questo articolo inizia con un mea culpa: sono caduta anche io nelle grinfie dei fast food.
Caduta in modo assolutamente consapevole e per curiosità. Pentita? Valuterete voi.
Vi racconto l’accaduto.
Non amo il cibo del fast food, non solo perché per definirlo cibo si devono spegnere diverse centinaia di
neuroni, ma soprattutto perché ci si deve dimenticare di avere delle papille gustative.
Ma è uno dei pochi posti in Italia dove si può prendere un caffè americano, unico tipo di caffè che il mio
stomaco e il mio palato tollera; nel resto della Penisola ti rifilano un espresso allungato, quindi per me una
tortura allungata.
Ero lì con la mia dolce metà a ordinare il mio americano quando, il mio occhio si allunga sul banco dei dolci
che solitamente guardo con una certa spocchiosa sufficienza, ma che complice il clima natalizio stavolta mi
desta una certa curiosità, oltre all’allestimento decisamente gradevole.
La mia attenzione è catturata da un brownie alle noci pecan che io adoro, e che infatti ordino, ma il mio
cervello rettile mi avverte che poco più in là c’è una torta molto più grande, molto più calorica e quindi,
decisamente più desiderabile.
Poco importa che il nome ricordi un mobile di Ikea, l’aspetto è opulento e nonostante la mia parte razionale
stia già insultando il cervello rettile dandogli dell’ingenuo e anche un po’ del vile, ormai l’acquisto è fatto.
Vado al tavolo, con il mio americano amaro e la mia torta al multistrato (sì il nome doveva farmi venire
qualche dubbio in più).
La torta alla vista è molto gradevole, colore struttura, presenta tutto quello che può predisporre
positivamente all’assaggio: è opulenta, presenta zone croccanti e zone morbide, un color cioccolato e uno
panna che può far intuire (eh intuire) quale potrà essere il tripudio di sapori che mi attende.
“Beh non la assaggi?” mi viene chiesto, ovviamente questo evento desta curiosità di mio marito.
Procedo, piena di speranze e qualche preconcetto. Sarà dolcissima, immagino.
Alla prima forchettata vengo smentita, non sento il sapore dolce non sento il sapore del cioccolato… non
sento il sapore!
Eppure il colore del cacao lo vedo, il colore della crema di latte lo vedo, ma accidenti dov’è il loro sapore?.
Riprovo. Mi concentro. Tutto il locale sparisce, ci siamo io e il mobile di Ikea, pardon la torta.
Secondo assaggio, con più calma, mastico cerco sapori, anche sintetici per carità non sono a Masterchef,
ma sapori.
Niente non arriva niente.
O meglio, arriva il grasso che da qualche anno è stato promosso a sesto sapore, l’oleogusto, non più una
sensazione che stimola il trigemino, come il piccante, ma un vero gusto recepito dalla lingua.
Quello si è netto, ma non saprei dire quale grasso sia. Non sa di panna non sa di latte, e tristemente ho la
conferma, non sa di niente.
Non ci credo, devo avere le papille spocchiose, si rifiutano di abdicare al fast food, ma ora le sistemo io.
Ho davanti il K2 delle torte e lo scalerò in modo o nell’altro.
Sorso di caffè americano, amaro ma non acido, ora lo dovrò sentire sto sapore, se c’è , almeno un po’ di
dolce per favore.
Il sapore non lo trovo, ma inizia una certa nausea da grasso.
“Allora com’è?” mi chiede il marito
“….grassa……”
“E…?”
“e basta. Assaggia tu” dico
Anche lui si concentra sull’assaggio, isolando ovviamente il resto del mondo. Roba da vero gourmand.
“Beh si è grasso, però sento il cioccolato”
“Fai piu attenzione, il cioccolato non lo SENTI, lo VEDI, perché la torta è color cioccolato, ha il nome del
cioccolato, ma non sa minimamente di cioccolato. Ti aspettavi sapor di cioccolato e ora lo stai sentendo ma
non c’è. Assaggia da sola la base al cioccolato di cosa sa?”
Diligentemente il marito esegue
“Non sa di nulla, forse il sapore di cacao l’ho immaginato”
Ma perché non sa di niente? mi chiedo, chiedo incredula anche a lui. Che costava alla multinazionale
metter dentro degli aromi artificiali, che ne so, al cocco, alla vaniglia, per dare carattere a questo dolce. Me
lo chiedo mentre indefessa continuo l’assaggio.
“Ma se non è buona lasciala” mi dice mio marito
“Non è che non è buona, non è niente. E non ho voglia di lasciarla” . Temo però di non riuscire a lasciarla.
E allora mi sono interrogata sul perché questa torta non sappia di niente se non di grasso. Sul perché non
gli si dia carattere, aggiungendo aromi a costo zero. Sapete che esiste ogni genere di aromi per simulare il
cibo vero, anche l’aroma di crosta di pane?
“….perchè deve piacere a tutti!” ci siamo risposti all’unisono.
L’opulenza, il grasso, il cioccolato, il croccante, sono input che piacciono praticamente a qualsiasi soggetto
goloso o comunque in cerca di morbido rifugio, ma qualche aroma potrebbe risultare meno gradito a una
fetta di mercato, con l’effetto di perderla.
Una torta così stimola la gratificazione, sazia momentaneamente ma non soddisfa perché non avendo
sapore non appaga realmente, ci lascia di fatto insoddisfatti perché è privo della componente edonistica del
cibo, cioè il sapore. E infatti difficile non finirla, non ha un cattivo sapore, è bella, gradevole al taglio.
E neppure io con tutte i miei borbottii, ho saputo lasciarla li.
Consideriamo poi che probabilmente quella torta verrà consumata mentre si guarda il cellulare o si
chiacchiera nella confusione, non certo con fare da fine assaggiatore come abbiamo fatto io e mio marito, si
mangerà magari bevendo una bibita zuccherata e dopo delle patatine, con i recettori del gusto ormai iper
stimolati: non si sentirebbero i gusti comunque.
La capacità di percepire i sapori non dipende solo dal contesto, appunto da cosa abbiamo mangiato o
bevuto prima, dalla distrazione o attenzione con la quale mangiamo, ma anche da come mastichiamo e
dalla nostra genetica.
Tutti i cibi hanno anche una componente odorifera, che viene percepita prima di addentare il boccone (e
infatti i buongustai prima annusano il cibo) e dopo masticando, piccole molecole contenute nell’alimento
vengono liberate e portate ai recettori nasali che completano la sensazione gustativa dando piu corpo al
sapore che stiamo percependo, e masticazione dopo masticazione la saliva scinderà i carboidrati complessi
in carboidrati piu piccoli e il sapore dolce potrà esplodere nella sua interezza . Boccone dopo boccone si
attiveranno anche recettori del gusto presenti nel resto della bocca e nell’esofago, e tutti i segnali di
pienezza e gusto arriveranno al cervello. (Sempre che non si stia mangiando una mobile Ikea allora li, non
serve masticare, serve una brucola)
Se mastichiamo poco, in fretta, il cibo non sarà scisso nelle componenti odorifere e nei carboidrati piu
semplici, resterà insapore, e l’esperienza gustativa sarà deludente. O ci convinceremo che il cibo ha quel
sapore lì, cioè nessuno.
La capacità di percepire il gusto dei cibi dipende anche dalla genetica. A seconda della capacità di percepire
le sfumature dei cibi le persone sono divise in tasters, non tasters e supertaster quindi gustatori , non
gustatori e super gustatori, caratteristica che dipende in buona parte da quante e quali papille gustative
possiede il soggetto. I super taster riescono a percepire sapori che altri non avvertono neppure.
Ovviamente essere un super taster a livello evolutivo è un vantaggio, perché permette alla persona di
percepire il buono e soprattutto il cattivo dei cibi, quindi di scegliere quelli piu nutrienti e scartare quelli
potenzialmente pericolosi.
E come tutte le caratteristiche genetiche è stimolata dall’uso, e si perde se non serve. Ma se una società
alleva i propri cittadini con cibi dolce/grassi e privi di altri gusti, come da decenni accade, quale
caratteristica sensoriale sarà stimolata?
Se un colosso del cibo fast pensa di educare alla sana alimentazione i bimbi, creando broccoli al sapor di
caramella (è accaduto davvero), non sarà che farci diventare tutti no tasters sarebbe una grande comodità
per l’industria alimentare?
È sicuramente solo una mia idea probabilmente.
Allora riflettendo sulla mia impressione, ho cercato in rete opinioni sui dolci di questo fast food. Ho cercato
testi di giornalismo scientifico sull’argomento, trovando davvero poco. Ma ho trovato decine di video di
persone che assaggiano dolce dopo dolce fornendo il loro parere, tra un morso ad un donut e una
cucchiaiata ad una torta.
Due giovanissimi recensivano divertiti da dentro la loro macchina tutti i dolci del fast food, elargendo quasi
sempre giudizi piu che positivi: alla mia torta titanica poi, più che giudizi elargivano versi di approvazione
estatica. “Morbida cioccolatosa, meravigliosa”.
Ma l’assaggio arrivava dopo diversi donuts, tiramisù e macarones, credo tutti allo stesso sapore, quindi il
dubbio sulla loro capacità di taster un po’ lo avrei.
L’assaggio di altri due ragazzi più grandi era un po’ più strutturato: tavolo microfono, sorsetto d’acqua tra
un dolce e l’altro, e soprattutto ho notato, annusavano i dolci prima di mangiarli e commentarli. In loro il
giudizio era decisamente piu articolato, e nonostante a quasi tutti i dolci dessero la sufficienza anche se
poco convinta, spesso ammettevano “Beh ci ricordavamo meglio, forse abbiamo abbassato l’asticella, è
tanto che non mangiamo dolci veri”
Ce lo ricordavamo meglio.
Ecco un punto importante nel grande viaggio del cibo.
Il ricordo condiziona profondamente l’esperienza del gusto, se un cibo ci ha dato piacere, magari perché
eravamo in un contesto gradevole, perché poi ci ha saziato e magari resi meno tristi (cosa che il cibo
spazzatura per sua composizione chimica almeno INIZIALMENTE fa), il nostro cervello registrerà
l’esperienza come positiva nel suo insieme, spesso indipendentemente dal sapore del cibo o meglio non
sarà il fattore determinante.
E probabilmente anche se le volte successive il sapore sarà un po’ deludente, non cattivo ma deludente,
abbasseremo i nostri standard e faremo combaciare quel sapore da appena sufficiente, alla sensazione
positiva della prima volte, dicendoci che in fondo, appena sufficiente non è male. E forse anzi è il massimo.
Questo spiegherebbe perché, cibi decisamente mediocri, se accompagnati da buone campagne
pubblicitarie, alla fine riscuotono un buon gradimento.
A chi importa più del sapore del cibo? La capacità critica nel cibo, cosi come in molti ambiti della vita,
comincia a non essere una caratteristica richiesta anzi.
L’importante è che sia tanto, economico, gradevole alla vista, magari opulento e vistoso.
Anche questo, come molti aspetti della nostra società.
Come sono finita da una torta del fast food ad una analisi della nostra sociale?
Beh il passo sembra lungo, ma in realtà non lo è, quello che noi scegliamo di mettere nel piatto e quindi nei
nostri corpi, che accettiamo di considerare desiderabile o meno, la dice lunga su cosa accettiamo di
considerare desiderabile o tollerabile, per le nostre vite e non solo le nostre.
Un’altra considerazione mi è sorta spontanea osservando le colonnine dispenser di liquido disinfettante,
salito ultimamente agli onori di gel salvifico da ogni malattia, che si trovano in questo fast food come in
molti altri esercizi commerciali.
Riflettevo guardando (e fotografando) quella colonnina, utilizzata dai clienti del locale come acqua santa
prima e dopo del pasto, di quanto questo sia buffo. E grottesco.
In uno dei luoghi a maggior concentrazione di cibi infiammatori, pro-cancerogeni, obesogenici, che
favoriscono in modo netto e diretto (e provato!) non solo la capacità di penetrazione dei virus, ma anche il
decorso della dell’infezione, ecco che la preoccupazione sia quella di pseudo disinfettarsi le mani, è davvero
ridicola.
Si potrà obiettare che molte persone siano vittime del condizionamento, però vi dico, che dopo tanto
tempo e dopo tanta informazione, il condizionamento dei media non può piu essere una scusa, ma forse è
solo un paravento per chi non vuol sapere.
Che il gel miracoloso non disinfetti ma impasti alla bellemmeglio le sostanze che abbiamo sulle mani,
riducendo il film lipidico di protezione che ha la pelle e il suo microbiota, rendendole di fatto piu fragili e
sensibili, questo lo dovremmo aver sperimentato.
Ma anche che le patatine che stiamo dando ai bambini contengono diossina e acrilammide, due
cancerogeni certi, dovrebbe essere arrivato alle orecchie di persone cosi attente alla salute.
E per farla più diretta, che i picchi di glicemia che ogni singolo cibo venduto in certe catene di ristorazione
facilita l’entrata dei virus nelle cellule anche.
Oltre ad essere causa diretta una manciata di altre malattie, ma sì di quelle in fondo possiamo
disinteressarcene perché le gestiremo con qualche farmaco.
Dopo tanti anni di pesante ingerenza nelle nostre vite e nella nostra salute, mettere le cose in chiaro,
scientificamente in chiaro, senza isterismi o fazioni, è doveroso.
Chi mangia male si espone alle malattie e rende la società piu fragile, malata, in pericolo.Chi fa mangiare
male i bambini li rende adulti fragili e malati. I pupazzetti allegri dei menu bimbi non renderanno diversa la
realtà.
Il mio non è mai un attacco ai colossi della ristorazione fast, il commercio è commercio, ma piuttosto chi
questi colossi li ha fatti diventare tali, portandoci la famiglia, bimbi compresi, piu volte a settimana facendo
diventare quel cibo, la normalità, o anzi, una meta a cui ambire, il cibo buono da desiderare.
Quello distrugge la capacità critica di quei bambini, futuri adulti, se avranno la fortuna di diventare adulti.
E per rispondere alla domanda se mi sia pentita di aver mangiato quella torta, beh in piccola parte sì,
almeno finchè lo stomaco non ha smesso di insultarmi, ma poi ho fatto tesoro dell’esperienza, ho riflettuto
e mi sono messa a scrivere.
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