“Continuiamo così. Facciamoci del male.”
- Manuela Navacci
- 30 lug 2024
- Tempo di lettura: 8 min
Nonostante le conoscenze scientifiche non lascino dubbi su quale sia la via del benessere, sono in molti a non volerla percorrere.

La celebre frase la recita un Nanni Moretti anni ’80 difronte alla scarsa competenza in fatto di dolci dei suoi commensali. Moretti che nello stesso film recita vestito solo di un grande barattolo della famosa crema al cioccolato. Il suo cinema a Roma come altro poteva chiamarsi se non Sacher? La sua passione per i dolci gli avrà fatto del male? A vederlo oggi, credo di no.
Ci stiamo però facendo sicuramente del male oggi, per come stiamo gestendo la nostra alimentazione e la nostra salute. Più che con una fetta di torta.
Analizziamo i fatti.
Da nutrizionista noto un certo scollamento dalla realtà, di alcuni pazienti.
Arrivano a studio convinti che il loro unico problema sia il peso in eccesso ma poi dopo un’attenta anamnesi tutti i piccoli grandi sintomi che raccontano, disegnano un quadro molto più complesso.
Stanchezza, dolori diffusi, dermatiti, cefalee, disturbi gastrointestinali, ed una serie di problematiche che durano da anni, per le quali le cure sintomatiche date dal medico hanno avuto poco o nulla effetto; spesso persone molto giovani hanno già due o tre patologie importanti, solitamente autoimmuni, la cui causa è sconosciuta. Anzi piu che sconosciuta, pare non avere nessuna rilevanza né per il paziente tantomeno per il medico curante. Cioè capire perché è arrivata una malattia, che sia una tiroidite o il diabete, un’artrite reumatoide, un’ipercortisolemia, pare non essere importante come se, arrivata la malattia, la causa si esaurisse. Basta trovare il farmaco giusto, gestire i parametri ematici ed ormonali, e il gioco è fatto.
Ma lo è? Lo vedremo in seguito.
Spiego quindi al paziente che in molti casi quei sintomi sono da attribuire al loro stile di vita, ad una alimentazione monotona povera di nutrienti e ricca di sostanze che generano sensibilità e attivazione immunitaria. Questo trova poi conferma alla visita di controllo: la maggior parte dei sintomi sono spariti e per quelli che ancora persistono possiamo lavorare con un protocollo alimentare ancora più specifico, ma sempre mangiando a sazietà, con gusto e varietà; questo coincide sempre, sempre sempre, con un aumento della energia generale, della qualità del sonno, della lucidità mentale, della forma fisica. Con grande meraviglia il paziente si accorge che bastava davvero poco a stare davvero meglio.
Ma, c’è un ma.
In una parte dei casi, questo benessere, ottenuto semplicemente mangiando meglio, non di meno badate ma meglio, ha un grande ostacolo: l’apericena.
Che sia cena, che sia aperitivo, che sia dopo cena con birra, la socialità degli ultimi anni è ad alto Carico Glicemico. E soprattutto non è una occasione speciale, è la regola.
Ed è un Diritto Civile Inviolabile. Molto più sentito e difeso di altri diritti ripetutamente violati. Toglietemi tutto ma non la pizza!
Attenzione qui non si parla della pizza del sabato sera, e non tutti i sabati sera, quella è più che gestibile. Qui si parla dell’aperitivo del mercoledì, della pizza del venerdì, del pub del sabato e della colazione con le amiche la domenica mattina. Troppo per qualsiasi organismo che intenda rimanere efficiente. E felice, aggiungerei.
Anche se ci siamo resi conto che era la pizza (e lo zucchero, i biscotti, la brioche) a farci stare male, a renderci la vita una fatica e a renderci schiavi di due tre pasticchette, anche se il livello di benessere è salito del mille percento mangiando meglio, dimenticati i fastidi, il mondo esterno comincia a premere e pare che senza cibo spazzatura la vita non valga la pena di essere vissuta.
Siamo chiari, se un cibo ci rende stanchi, ci sta avvelenando. Se il cibo ci rende dipendenti, ci sta logorando la qualità della vita. Senza mezzi termini.
Ci sono persone incapace di scegliere tra il cibo spazzatura e una vita più felice. Non è normale.
Questi anni ci hanno così tanto inebetito che il diritto civile all’apericena è più importante del diritto civile a vivere una vita degna. Invece di arrabbiarci perché ci stanno dando da mangiare roba che fa ammalare, siamo così deboli e dipendenti che la cerchiamo ancora, anzi la pretendiamo. Sono anni strani. Sono anni in cui la consapevolezza non è un valore. Seguire il flusso lo è. E il flusso fa apericena.
Pensate se ai nostri nonni avessero detto, che nel loro piatto giornalmente qualcuno aveva messo del veleno, chessò del cianuro, ed era questo che li faceva star male, ma per fortuna lo avevano scoperto e eliminato. Avrebbero risposto: “Ma no dai, lasciamene almeno un po’!”. Di veleno? “Ma si dai, lo mangiano tutti!”. Non credo proprio.
Qui non si tratta di scegliere tra mangiare piatti prelibati oppure una fettina di pollo secco e dell’insalata scondita, mangiar sano non vuol dire mangiare triste, quella è una fake news di una vecchia dietetica.
Si tratta di scegliere tra un cibo industriale poverissimo (spesso anche di sapore) e la varietà splendida dei cibi naturali che abbiamo a disposizione, con sapori colori e profumi meravigliosi, facendo attenzione alla qualità alla varietà e al bilanciamento dei nutrienti.
La spinta sociale al carbo compulsivo a basso costo però in alcuni casi è più forte, e il biscotto del mulino stanco torna a farsi largo per comodità nella dispensa. E spesso si fa largo nella dispensa perché siamo già fiaccati da qualche settimana di aperi cose, che ci hanno tolto un po’ di lucidità e di salute.
Tutto questo ovviamente quasi sempre nella completa sedentarietà, perché “non ho tempo”. E anche qui, dopo aver sperimentato il potere terapeutico del movimento, anche blando, ma si sa, la vita è fatta di priorità.
E talvolta anche la consapevolezza che quei disturbi sono solo l’anticamera di malattie più importanti è annebbiata dalla dipendenza, chiamiamola col suo nome, dal cibo spazzatura e dalle consuetudini che la società moderna ci ha costruito attorno. Perché la società giova grandemente di una popolazione dipendente da cibo a basso costo, da farmaci e obiettivamente poco reattiva quando gli tolgono i diritti civili, quelli veri.
E questo ci porta al secondo punto.
Quando una paziente mi riferisce una diagnosi, tiroidite, ipotiroidismo, un ipercolesterolemia, una steatosi epatica o altro, chiedo “Secondario a?” cioè cosa l’ha causato? “….oddio non so, ce l’ho e basta”.
Il paziente non deve sapere. Deve pazientare.
Il problema è che se un organo comincia a funzionare male, un valore ematico si alza, un motivo c’è sempre. E di solito è quello il problema. Lo è perché a prescindere che noi prendiamo o meno farmaci per gestire il sintomo palese la causa continuerà a far danni nel nostro corpo e genererà un altro problema, poi un altro poi un altro.
Un esempio classico è quello dell’ormai dilagante ipotiroidismo. Cosa l’ha causato? Il rallentamento della tiroide (e in generale di ogni organo) arriva da un squilibrio, o abbiamo troppo di qualcosa o troppo poco. Quindi o lo abbiamo stressato facendolo lavorare troppo o gli abbiamo dato sostanze che non è stato in grado di gestire, alimentari o meno, o lo abbiamo privato di sostanze che gli erano necessarie. In tutti i casi se non rimuoveremo questo eccesso o deficit, il problema aumenterà nel tempo. Se poi l’ipotiroidismo è dovuto ad autoimmunità, se non rimuoviamo questa, anche se gestiamo gli effetti dell’ipotiroidismo con una terapia sostitutiva, alla fine il sistema immunitario distruggerà completamente la tiroide e la terapia sostitutiva sarà l’unica opzione per poter sopravvivere, e non sarà mai comunque equivalente ad un organo sano. Mai. E ricordiamoci che un farmaco che è sempre una sostanza chimica estranea. A vita. Per sempre. A fare funzione di un organo ma senza averne la capacità di adattarsi alle nostre esigenze (la tiroide si adatta a, quando come, quanto, e dove, abbiamo bisogno di energia) il farmaco no. I nostri ormoni sono senza effetti collaterali il farmaco no. E comunque la causa del nostro ipotiroidismo, ossia l’infiammazione, lavorerà ancora, e troverà un altro bersaglio. Se invece riusciamo precocemente a capire cosa ci sta dicendo il corpo, rimuovendo il problema abbiamo buone probabilità di far regredire il problema fino alla completa gestione, se non scomparsa. E soprattutto togliamo la causa, quindi il pericolo di altri danni.
Ma la seconda ipotesi non è contemplata, nella stragrande maggioranza dei casi, dagli endocrinologi. “Vediamo come va, finchè la tiroide regge”. È stato detto a una mia paziente con tiroidite. Finchè la tiroide regge?
Ancora una paziente ha chiesto al medico di valutare l’ipotesi di ridurle in futuro il farmaco, si è sentita rispondere “Potremmo, ma perché? che ti costa prenderlo?”
Sintomatica da parte di moltissimi medici della cura della policistosi ovarica la PCOS. Questa sindrome piuttosto diffusa, viene nella maggior parte dei casi valutata solo in ambito ginecologico, trascurando il fatto che la donna con queste caratteristiche ha bisogno di una attenta gestione dello stile di vita e dell’alimentazione perché la PCOS rimanga una caratteristica e non una malattia. E questo è confermato dal fatto che le mie pazienti non sono mai a conoscenza che molte delle loro problematiche, amenorrea, ipertensione, gonfiore, ansia, fame compulsiva, non andrebbero gestite con tanti farmaci distinti, ma con uno solo: l’alimentazione adatta a loro.
C’è anche da dire che siamo ancora ben lontani da una medicina di genere che comprenda le diversità dell’approccio medico e farmacologico tra un uomo e una donna. Se il ciclo mestruale fosse una prerogativa maschile l’OMS sarebbe l’Organizzazione Menopausa Serena. Ma cosi non è e quindi la maggior parte delle problematiche femminili sono “paturnie”
Ma anche nei pazienti uomini, la ricerca della causa e quindi l’eliminazione del problema, non è una opzione. Psoriasi di tutta una vita curate con quintali di cortisone, potrebbero essere ridotte in pochi mesi da una dieta equilibrata, steatosi epatiche croniche possono regredire, con grande meraviglia del medico.
E per che dire dell’onnipresente reflusso gastrico gestito a vita con gastroprotettore? Anche qui, perché no? Per vari motivi: perché riduce la capacità digestiva, perché permette l’entrata di virus e batteri, perché aumenta il rischio di cancro; e perché nasconde il problema impedendoci di risolverlo: stiamo mangiando qualcosa che ci altera l’ambiente gastro intestinale, e ci fa ammalare. Poca cosa in effetti contro il diritto civile all’apericena. Perché anche quel disagio con grande probabilità è dovuto alla cattiva alimentazione all’eccesso di zuccheri lieviti e farine raffinate. Ridotte quelle, sparisce il problema. Troppo facile, e a noi le cose troppo facili non piacciono. Ci sarà un inghippo.
Pare troppo facile che stare bene sia semplice, che fare prevenzione sia semplice. Figurati se per evitare le malattie...bastasse mantenersi sani.
Questo rende però piu comprensibile l’atteggiamento delle persone che non riescono a rinunciare a mangiare male, perché l’idea che la prevenzione si faccia a tavola è sì un cavallo di battaglia della Sanità, ma un cavallo che resta sempre nella stalla. Viene sbandierata negli slogan pubblicitari, ma poi di fatto non si fa nulla per istruire i medici su quali siano le linee guida reali per la prevenzione.
Cioè che il primo approccio debba essere il cambio di stile di vita è la linea guida del Ministero, ma è anche vero che raramente viene consigliata, un po’ perché si teme che il paziente non segua, un po’ perché forse il medico non ha dimestichezza con l’argomento, e anche perché gli preme gestire il momento acuto del paziente. Questo però fa diventare un farmaco salvavita, un farmaco a vita. Sarebbe bello che ci fosse una migliore collaborazione tra medici e chi si occupa di alimentazione e stile di vita perché dopo il primo momento, la patologia si possa gestire o comunque sostenere, riducendo i fattori che possono averla scatenata, e soprattutto perché il paziente abbia due professionisti che lavorano in sinergia, per lui e non uno contro l’altro. E’ normale che se il medico stesso non crede che il cambio di stile di vita possa aiutare la gestione della malattia, sarà umano che anche il paziente preferisca il farmaco . Rigorosamente prima dell’aperitivo.
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